Lo sciopero del carrello e l’utopia del consumatore solidale
8 novembre 2015
Sabato 7 novembre è andata in scena, nel nostro paese, una
protesta sindacale non priva di elementi di originalità. Lo sciopero dei
dipendenti della grande distribuzione privata e cooperativa, privi di
contratto da più di due anni, ha visto le federazioni di categoria di
Cgil, Cisl e Uil dare al conflitto una veste davvero innovativa.
L’hashtag prescelto #FuoriTutti è stato per tutta
la mattinata fra i trend topic su Twitter a dimostrazione di come la
favoletta renziana del gettone messo a forza nell’i-Phone e annessa
incapacità del sindacato di maneggiare la modernità, siano finalmente in
via di superamento.
L’investimento sulle nuove forme di comunicazione a partire dai
social media, comincia ad entrare a pieno titolo fra gli strumenti di
proselitismo delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori ed è
un bene, per non dire una questione di sopravvivenza.
La mobilitazione ha colpito grandi gruppi quali Ikea, Carrefour, Coin
e Auchan, tutti militanti in Federdistribuzione, associazione
fuoriuscita da Confcommercio e che negli ultimi tempi sta impersonando
il ruolo del padronato 2.0.
Se un tempo infatti lavorare in un ipermercato poteva apparire una
valida alternativa alla fabbrica, da almeno un quinquennio non è più
così: part time subiti e non scelti, lavoro obbligato nelle domeniche e
festivi ed ora anche la notte, turni impossibili, hanno trasformato la
professione del commesso in lavoro precario, duro, scarsamente
retribuito.
I centri commerciali si affacciano pertanto alla ribalta del
conflitto sociale in tutta la loro ambiguità di “non luoghi”, dove tra
vetrine e luci artificiali lo sfruttamento della forza lavoro inizia ad
essere una sinistra costante.
A ciò si è aggiunta la crisi dei consumi che ha spinto queste
imprese a perseguire l’obbiettivo di azzerare le relazioni industriali
attraverso la disdetta degli accordi integrativi: la vertenza Ikea ha
rappresentato l’ultimo caso in ordine di tempo di questo trend e
forse anche il più significativo.
Il colosso svedese del mobile infatti si era sempre distinto per
l’intensità con cui viveva il rapporto col sindacato promuovendo a tutti
i livelli valori quali partecipazione e condivisione.
Un anno fa ha deciso di convertirsi al “verbo federdistirbutivo”
cancellando, con un violento colpo di spugna, 25 anni di accordi.
Se queste realtà assomigliano sempre più ai tradizionali siti
manifatturieri, se in sostanza fra le condizioni di una cassiera di
Carrefour è quelle di una turnista della Magneti Marelli, esistono
sempre più punti di contatto, alcune significative differenze
permangono.
Lo sciopero di oggi ha provocato danno al profitto delle imprese
colpendo la fonte tradizionale della loro redditività: i clienti. Si tratta di un disagio molto diverso quindi, da una catena di
montaggio che si interrompe, da un numero di pezzi che non vengono
assemblati, o da tir che rimangono fermi nei piazzali di un magazzino.
Anche in questo caso il sindacato ha marcato un ulteriore elemento di
vivacità strategica: ha coinvolto le potenziali vittime degli effetti
della sua mobilitazione non solo appellandosi alla loro solidarietà, ma
chiedendo loro di astenersi dal fare la spesa, scioperando cioè a loro
volta.
Lo sciopero del carrello è stata sicuramente una mossa brillante e non priva di temerarietà.