Tempo di welfare aziendale!
Una soluzione? NO un problema.
I
contratti firmati nel corso dell'ultimo, anno hanno tutti riferimenti
sempre più presenti al welfare aziendale. Governo, industriali e
sindacati di stato si impegnano a raccontare a tutte e tutti di aver
trovato la nuova frontiera che permetterebbe a padroni e lavoratori
di aumentare il proprio reddito senza scontentare nessuno. Su questa
narrazione il Governo Renzi con la Legge di Stabilità 2016 ha
potenziato le agevolazioni fiscali per le aziende che sviluppano il
welfare privato in azienda.
Ma
è davvero così?
Proviamo
ad analizzare cosa sia in realtà questa strana bestia che sta'
entrando nelle nostre vite e, soprattutto, nei nostri salari.
1.
Cos'è e come si è evoluto il welfare aziendale? Il
welfare aziendale è un pacchetto di servizi offerto dalle aziende ai
propri dipendenti. Fino a qui, tutto bene. Peccato che tale offerta
sia sostitutiva degli aumenti stipendiali o, come avviene sempre più
spesso, dei premi aziendali. Copertura sanitaria, spese per
l'istruzione dei figli, ma non solo. Nel caso di imprese
particolarmente “evolute”, servizi di baby-sitting, nidi
aziendali, in un futuro non troppo lontano gestione delle incombenze
della vita privata, come la spesa o l'invio delle raccomandate in
posta.
Insomma
un vero e proprio investimento aziendale nella fidelizzazione del
dipendente. Ma è solo questo?
2.
Quali sono i settori in cui si è maggiormente sviluppato?
In
ambito sanitario il welfare aziendale non è più un aggiunta ma è
già diventato un obbligo. Gli enti bilaterali, istituiti da accordi
contrattuali tra padroni e sindacati di stato gestiscono direttamente
tramite contrattazione collettiva quest'aspetto e, nel caso del Fondo
Est/Unisalute, impongono a tutte e tutti i dipendenti del settore
commercio una vera e propria tassa in busta paga per finanziarlo.
Insomma,
un vero e proprio business costruito sulla malattia e pagato da tutte
e tutti le lavoratrici ed i lavoratori del settore!
3.
Lavoratrici e lavoratori ci guadagnano? Non
è così: il welfare aziendale si sta sviluppando grazie alla
defiscalizzazione. La conseguenza di quest'ultima per un lavoratore
che aderisca (volontariamente o meno) a un fondo è un risparmio di
circa il 10%; per l'azienda, invece, il risparmio si aggira attorno
al 40%.
Si
potrebbe dire che il 10% è meglio che un calcio in bocca. Peccato,
però, che per il lavoratore si tratti di una partita di giro.
Spieghiamoci
meglio: se lo Stato defiscalizza, riceve minori entrate fiscali e,
quindi, destina meno fondi a istruzione, sanità, pensioni e welfare
universale. In conseguenza diminuisce le prestazioni a favore dei
cittadini, innalza i ticket sanitari, diminuisce la spesa per la
scuola, aumenta a dismisura le tasse universitarie e porta l'età
pensionistica oltre i 70 anni.
In
pratica ci spingono a destinare i nostri soldi verso il business del
welfare privato in modo da smantellare lo stato sociale pubblico
universale.
In
conseguenza ci fanno pagare due volte lo stesso servizio: una volta
con le tasse sul reddito, un'altra con la contribuzione ai privati.
4.
Chi è che ci guadagna? In
primo luogo le aziende che vendono welfare, veri e propri parassiti
che vivono dei fondi regalati dallo stato alle imprese; in secondo
luogo i fondi pensione, le casse assicurative, le scuole private e
tutti coloro che stanno ingrassando sullo sfacelo dello stato
sociale.
In
altra forma ci guadagnano le imprese che fidelizzano il dipendente
mantenendolo sotto ricatto della perdita, con il posto di lavoro,
anche di tutte le prestazioni sanitarie, scolastiche e assistenziali
legate al welfare aziendale. Recenti studi mostrano come in queste
aziende il tasso di malattia sia decisamente minore, quello di
produttività maggiore e la combattività dei dipendenti a livello
vicino allo zero. In
pratica la paura di perdere insieme al posto di lavoro l'assistenza
sanitaria o il voucher per le spese scolastiche dei figli fa
letteralmente quaranta.
Si
va a lavorare anche con la febbre pur di non entrare nella lista dei
licenziabili.
5.
Quali sono i rischi per il nostro reddito e la nostra vita?